
Statua di Asclepio, museo del teatro di Epidauro – Argolide
FGB è l’acronimo di First Greek Book (J.W.White, 1896, Ginn & Company), un laboratorio introduttivo al greco antico tale che, anche se non diverrete filologi classici, almeno sarete in grado – sbagliando pronuncia – di leggere i cartelli stradali greci, e quindi potrete fare discreta figura con la fidanzatina o il fidanzatino di turno.
Nelle lezioni iniziali l’autore segue regolarmente uno schema: prima introduce elementi di grammatica con esempi, poi propone un vocabolario essenziale e delle frasi da tradurre – dal greco e in greco (dall’inglese).
La lezione III introduce la morfologia del nome e la prima declinazione (che i grammatici anglosassoni di due secoli fa chiamavano A-declension, declinazione in alfa).
Lezione III: Il nome, introduzione. La prima declinazione, nomi femminili in alfa lunga e pura.
Il greco antico è una lingua flessiva: per il nome, il finale della parola ne indica la funzione logica all’interno della frase (e le parole potranno essere scritte nell’ordine che più ci piace, nessuno confonderà “il cane morde giovanni” con “giovanni morde il cane”).
Ci sono cinque casi: nominativo (per indicare il soggetto della frase), genitivo (per il complemento di specificazione), dativo (per il complemento di termine, detto anche complemento oggetto indiretto, sempre dai grammatici anglosassoni), accusativo (per il complemento oggetto, ovvero complemento oggetto diretto) e vocativo (per il complemento di vocazione – per rivolgersi a qualcuno, insomma). Rispetto al latino non c’è l’ablativo, nel greco moderno si farà a meno anche del dativo – ma queste sono altre storie.
Ci sono tre numeri: singolare, plurale e duale (usato per riferirsi a due oggetti). Strano? Forse, ma allora cosa dovrebbe dire il sanscritto che oltre al duale presenta anche il triale?
Ci sono tre generi: maschile, femminile e neutro – per cortesia non diamo per scontato che il genere di un nome sia lo stesso tra una lingua e l’altra, ma controlliamolo sul vocabolario. Ah si, c’è qualche regola (sempre prona ad eccezioni, ma meglio di nulla) generale: i nomi di uomini, di fiumi, venti e mesi sono maschili, i nomi di donne, paesi, città, alberi, isole e la maggior parte di nomi che indichino qualità o condizioni sono femminili.
La classificazione delle declinazioni. Ci sono tre declinazioni: la Prima (detta Α-declension), la Seconda (detta O-declension) e la Terza (detta Consonant Declension). Le prime due, se si ricorda la declinazione dell’aggettivo latino della prima classe bonus, -a, um, possono anche essere considerate assieme, e l’attento grammatico anglosassone potrà serenamente indicarle come Vowel Declension (declinazione a vocale).
<FONETICA> Su quasi ogni parola greca va indicato l’accento, ahimé, ci tocca fare pausa e spiegare qualcosa di come funziona.
In greco antico ci sono tre accenti:
- acuto (che sale da sx a dx), come in ἀγαθός (il buono, notare già che ci siamo lo spirito dolce ἀ e la sigma ς di fine parola);
- grave (che scende da sx a dx): per esemplificarlo servono due parole, tipo σκηναὶ ἀγαθαί – le buone tende. Questo perché l’accento grave si usa solo al posto di un accento acuto in una parola ossìtona (in italiano diremmo tronca, cioè accentata sull’ultima sillaba) e solo se questa parola è seguita da un’altra nella stessa frase, senza segni di punteggiatura. Per tornare all’esempio, σκηναὶ sarebbe da scrivere come σκηναί, ma essendo seguito da altra parola senza punteggiatura in mezzo… ecco ci siamo capiti.
- circonflesso (un’ondina), come in σκηνῆς (genitivo di σκηνή, significa della tenda). Le parole con accento circonflesso sull’ultima sillaba si dicono invece perispomene.
Per il momento, basta così: l’accento di un nome si impara leggendolo dal vocabolario, almeno per il nominativo. Poi poco per volta servirà arricchire il discorso. </FONETICA>
Quindi, visto che l’accento di un nome si impara per esperienza diretta, per il nominativo siamo a posto: per gli altri casi l’accento rimarrà sulla stessa sillaba del nominativo, se l’ultima sillaba lo consente – altrimenti “scala” sulla sillaba seguente.
Cosa vuol dire “lo consente”? Mah, c’è una regola di fonetica (e te dai, direbbe Guccini) che recita: <FONETICA>se la terz’ultima sillaba di una parola è accentata, l’accento è acuto (la parola si dice proparossìtona – in italiano sarebbe sdrucciola); ma la parola può “perdere” l’accento che scala sulla sillaba seguente (cioè comportarsi da parossìtona, da parola piana in italiano) se la sillaba finale (che cambia per la flessione del caso) è lunga o finisce per ξ o ψ. Ad esempio: ἄν-θρω-πος, l’uomo, al nominativo è proparossitona, ma al genitivo la terminazione in -ου (dittongo, quindi lungo) fa sì che “dell’uomo” sia piana, ἀν-θρώ-που. Lo stesso ragionamento vale per θάλαττα, il mare, che al genitivo fa θαλάττης. </FONETICA>
Genitivo e dativo circonflessi: questa capita spesso – se il nome al genitivo e al dativo (singolare, duale o plurale), ha l’ultima sillaba lunga e accentata allora l’accento è circonflesso.
La prima declinazione si suddivide a sua volta in cinque varianti, tre femminili (nomi in alfa lunga, in eta e in alfa breve) e due maschili (nomi in ας (alfa lunga) e ης). Per fortuna la declinazione è diversa solo al singolare.
La prima variante comprende i nomi femminili che “escono” in alfa lunga e pura – la alfa è preceduta da ε, ι, ρ (esempi χώρα – la regione, στρατιά -l’esercito, θύρα – la porta); le terminazioni, a meno di accenti, sono: -α, -ας, -ᾳ, -αν, -α / -αι, -ῶν, -αις, -ας, -αι / α, αιν (sono scritte nell’ordine: nom, gen, dat, acc, voc [sing./plur./duale (diretto, indiretto)])
Il genitivo plurale esce sempre in -ῶν (con l’accento sulla omega della terminazione, quindi è sempre perispomeno), nominativo e vocativo – tutti i numeri – sono sempre uguali.
Come al solito, lessico di base ed esercizietti di traduzione sono disponibili nel corso pubblicato su memrise (ogni esercizio è un livello a parte). In teoria l’avvenuta comprensione delle regole grammaticali viene verificata attraverso l’esatta risoluzione degli esercizi proposti… in teoria, appunto. Nella pratica serve fare molto più esercizio di quanto proposto dall’autore, e sopratutto serve trascrivere a mano su di un quaderno esempi di regole, lessici vari e tracce di esercizi proposti (dal greco): verrebbe quasi da teorizzare la necessità di una ortopostura – di una corretta posizione del corpo (della mano scrivente nel caso) nell’apprendere il greco antico – che agevoli il raggiungimento di un’ortografia di per sé di gran lunga più complessa di quella italiana. Altrimenti provate a scrivere greco antico sul computer (tastiera greco politonico, font gentium o altro font unicode completo) e poi ve ne accorgerete.
Per ogni osservazione, correzione e commento scrivete a questo indirizzo: gp . ciceri AT gmail . com (togliete gli spazi in eccesso e sostituite AT con “@”).
<PUBBLICITA’ PROGRESSO>Sempre a disposizione dei volonterosi un corso (poco per volta mandiamo in onda i materiali) sul sito memrise.com – gratis, si accede da questo link (e da quest’altro se volete la versione greco-inglese), che del FGB riprende le unità lessicali e gli esercizi di traduzione (dagli originali greco-inglese e inglese-greco abbiamo ricavato i corrispondenti greco-italiano e italiano-greco). Potete sempre scaricarlo sul vostro smartphone, per darvi un tono con gli anziani e allo stesso tempo continuare sottobanco a leggere bimbominkiate, magari su wattpad.</PUBBLICITA’ PROGRESSO>
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